“Dinamiche inconsce nell’ecografia ostetrica” di Simonetta Averna

Ringrazio molto il Centro Studi Martha Harris per avermi invitato insieme a mio marito, psicoanalista della Società Canadese di Psicoanalisi e dell’IPA, per questa giornata di studi su “La vita prenatale e le origini della relazione tra il bambino e i genitori”. In particolare mi fa piacere che il webinar si svolga intorno alla proiezione del film In Utero di Kathleen Man Gyllenhaal, che ho avuto modo di conoscere personalmente e da cui sono stata intervistata anche io nel corso della produzione del film. Kathleen era interessata alle ricerche che avevamo fatto sulla vita prenatale al Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” di Roma seguendo una serie di gravidanze ad alto rischio nel Reparto di Patologia Ostetrica, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta (Ancona & Coll., 1993; Averna & Coll., 1993; Mancuso A.K. & Coll, 1993; Nesci & Coll., 1993). All’epoca io ero la ginecologa ecografista del team interdisciplinare guidato da mio marito, il Dr. Nesci.
La mia relazione, grazie al fatto che abbiamo appena visto il film, entrerà nel vivo della questione prenatale affrontando alcune dinamiche inconsce fondamentali che sono generalmente trascurate nella pratica clinica:
- Le dinamiche inconsce dell’ecografia in quanto tale, a prescindere dal suo uso in gravidanza, e quindi la nostra teoria sugli errori ecografici;
- l’ecografia ostetrica come strumento che favorisce la relazione tra il bambino e i genitori;
- il tema del malocchio nell’ecografia ostetrica;
- l’assoluta necessità di una formazione psicodinamica per gli ecografisti, con particolare riguardo a quelli che si dedicano all’ecografia in gravidanza.
La costruzione dell’immagine ecografica
C’è una profonda differenza tra un’immagine radiografica ed un’immagine ecografica anche se, per il paziente, si tratta alla fine, in entrambi i casi, di ritrovarsi in mano un’immagine digitale. Ma le due tecniche sono completamente diverse. Se la radiografia può sembrare una fotografia perché ottenuta, sostanzialmente, premendo un bottone, con un soggetto a cui si raccomanda di stare fermo immobile in una precisa posizione, il processo della costruzione di un’immagine ecografica richiede invece la capacità di muovere continuamente una sonda sul corpo del paziente per poi “congelare” l’immagine (“frizzare” in gergo, nell’idioma ecografico da to freeze, congelare) sullo schermo quando vediamo comparire un’immagine che ci sembra corrispondere alla realtà anatomica dell’interno del corpo del paziente. Questo processo avviene perché l’ecografista invia con una sonda degli ultrasuoni che attraversano il corpo del paziente. La stessa sonda ne raccoglie gli echi di ritorno che vengono visualizzati in tempo reale sullo schermo ecografico. Si tratta dunque di un’immagine altamente soggettiva, costruita dall’operatore in base a come posiziona la sonda sul corpo (sonda trans-addominale o lineare) o dentro il corpo del paziente (sonda intracavitaria), e quindi passibile di infiniti errori.
Il radiologo invece, manda un fascio di particelle fisiche che attraversano il corpo del paziente ed impressionano una lastra fotografica posta dietro di esso. Le possibilità di errore sono di tipo tecnico, più che soggettivo. Per questo motivo, in Italia, le radiografie vengono eseguite da tecnici di radiologia e poi “lette” cioè interpretate da medici radiologi. Le ecografie vengono invece eseguite e interpretate dallo stesso medico.
Le cose si complicano ulteriormente in campo ostetrico per quanto riguarda l’ecografia. Il paziente è il feto che è all’interno del corpo della madre e si muove spontaneamente e indipendentemente dalle nostre esigenze. Costruire un’immagine che corrisponda alla reale anatomia fetale richiede una profonda conoscenza medica e tecnica, ma questo non basta. Trattandosi di un processo soggettivo di costruzione dell’immagine, il fattore psicologico diventa molto rilevante. Mi spiego meglio.
La nostra teoria sugli errori ecografici (in particolare in gravidanza) sostiene che l’ecografista è soggetto al transfert del paziente (in questo caso della madre e/o di tutti coloro che osservano la procedura ecografica) e che questo transfert, se è particolarmente intenso e se l’operatore è in quel momento, per un qualunque motivo, non in grado di riconoscerlo contenerlo ed elaborarlo, diventa possibile causa di errore (Averna e Coll., 1993). Può succedere, in pratica, che l’ecografista frizzi un’immagine che documenta patologie inesistenti o che non documenta patologie esistenti… insomma un’immagine che non corrisponde alla realtà anatomica rivelata dagli echi di ritorno. Basta infatti che l’ecografista sposti in modo impercettibile il polso, la mano, le dita che tengono la sonda che manda e riceve al tempo stesso gli ultrasuoni, ed ecco che l’immagine cambia istantaneamente. L’abilità dell’operatore sta nel riconoscere quale immagine ecografica sia “giusta” ed in quell’attimo frizzare l’immagine e poi, con calma, premere il pulsante per scattare la foto. Non basta la mano… ci vuole anche la mente!
Ricordo, ad esempio, il caso di una donna che era preoccupata perché precedenti ecografie avevano rilevato misure inferiori al normale negli arti del feto. La paziente aveva dei familiari affetti da nanismo e quindi era molto angosciata… Quando poi l’errore ecografico era stato finalmente identificato e smentito, ci è sembrato possibile ipotizzare che la paziente stessa avesse trasferito su un ignaro ecografista le sue fantasie inconsce, la sua angoscia di avere un bambino affetto da nanismo. L’ecografista, non formato a conoscere l’esistenza di queste dinamiche inconsce, e quindi della necessità di elaborare il suo controtransfert in ogni incontro clinico, era allora “annegato” nel controtransfert e lo aveva agito, materializzando sullo schermo ecografico degli arti più corti!
Se infatti si inclina male la sonda nel misurare un arto, è molto semplice modificarne la lunghezza…
L’ecografia ostetrica come strumento psicologico
Volente o nolente, l’ecografista (che in Italia è un medico ma in altri Paesi – ad esempio negli USA – è un tecnico) svolge una importante funzione psicologica. Innanzitutto è oggetto delle proiezioni transferali della donna incinta, che, come abbiamo visto dagli studi di Fornari (1981), vive una condizione di “paranoia primaria” e quindi è assolutamente (a livello inconscio) terrorizzata dal timore di vedere/essere vista da un potenziale persecutore/vittima interno.
Questo è particolarmente vero quando la gravida ha già avuto esperienze di lutto prenatale o perinatale o ha perso un bambino in età infantile. All’angoscia primaria del dilemma ostetrico si aggiunge infatti l’angoscia di una reale esperienza di lutto.
L’ecografista dovrebbe quindi avere una formazione psicodinamica specifica per evitare il rischio di “agiti” ecografici. E soprattutto dovrebbe essere consapevole che per il solo fatto di contenere e riconoscere (o non riconoscere) queste angosce svolge (o non svolge) una funzione psicologica. Se l’ecografista è consapevole di questa funzione ha la possibilità di elaborare, nel suo controtransfert, il transfert della donna incinta (o della coppia, se il marito accompagna la moglie e partecipa alla seduta ecografica).
Qui si aprono due percorsi possibili ed auspicabili:
- favorire la costruzione di un legame positivo nella relazione tra il bambino e la madre (e il padre, o il gruppo degli osservatori/familiari presenti)
- cominciare a promuovere da subito il processo di separazione/individuazione del bambino dalla madre nell’ambito della loro simbiosi, cosa che generalmente non avviene a sufficienza, nella vita prenatale.
Cercherò di spiegare meglio questi due punti che ho elencato facendo riferimento alle mie esperienze cliniche.
Non finisco mai di stupirmi di come le madri in gravidanza si stupiscono, durante le prime ecografie, a vedere che il bambino esiste, che si muove, che ha un cuore che batte in modo autonomo, che fa un sacco di cose dentro l’utero!
Col procedere della gravidanza il bambino cresce, le sue attività si affinano (si spinge sulle pareti uterine per dondolarsi nel liquido amniotico, gioca con il cordone ombelicale, succhia il pollice, sbadiglia, ingoia, ecc.) certi tratti del volto diventano più precisi al punto che si notano le prime somiglianze, emergono dei tratti comportamentali che consentono di ipotizzare futuri aspetti del carattere.
L’ecografista può essere d’aiuto in questo piacevole processo di riconoscimento dell’unicità del bambino, della sua individualità già percettibile fin dall’inizio.
Questa funzione psicologica dell’ecografia è per me un fatto estremamente importante, per cui nel mio modo di svolgere la seduta ecografica dedico tutto il tempo necessario affinché la donna incinta possa essere aiutata a conoscere il bambino. Ritengo fondamentale che la madre capisca subito che il figlio non è un “pezzo di sé” ma è un altro distinto da sé.
In questo modo la relazione tra il bambino e i genitori è automaticamente alleggerita perché non sono più totalmente responsabili della sua vita, nel bene e nel male. Per esempio se la madre partorisce 4 settimane in anticipo, invece di provare un senso di colpa per averlo “buttato fuori” prematuramente dirà che è il bambino che ha “scelto” di nascere prima. Questo previene che il legame divenga subito pesante, troppo pesante per una danza che è già grave (e cioè pesante). Mi riferisco ovviamente alla gravi-danza… ed in particolare alle angosce del dilemma ostetrico, di cui abbiamo già parlato ampiamente e che sono sempre presenti, a livello inconscio.
Ma c’è di più, riconoscere il bambino come separato da sé, individuato, fin dall’inizio, pone le premesse di base per consentire il passaggio da una fisiologica simbiosi intrauterina ad una fisiologica progressiva separazione madre/bambino dal momento della nascita in poi (Mahler, 1968). E aiuta anche a iniziare o migliorare il processo di separazione della nuova coppia genitoriale dalle famiglie di origine. Un rapporto simbiotico inter-familiare rimarrà sempre per tutta la vita, e questo è anche un fatto positivo se ad ogni membro della famiglia viene comunque riconosciuta e rispettata la sua individualità dal gruppo. Se questo non succede i rapporti familiari troppo sinciziali diventano patologici e, come a Jonestown, si rischia il suicidio collettivo, l’estinzione del gruppo (Nesci, 1991).
Invidia, malocchio ed ecografia ostetrica
Nell’ipotesi di Briffault (1927) i gruppi umani primordiali erano strutture sinciziali centrate sulle capacità generative delle donne. Le madri in gravidanza erano quindi oggetto di invidia ed ammirazione perché ad ogni parto acquisivano potere nella scala gerarchica del gruppo. L’invidia però non poteva essere rivolta direttamente su di loro, preziose risorse della comunità. Essa veniva spostata sui bambini, che nelle culture arcaiche, in tutti i continenti, sono sempre stati considerati soggetti all’invidia ed al Malocchio.
L’ecografia ostetrica, per questa proprietà “magica” di rendere visibile l’assoluto invisibile dell’interno del corpo, ed in particolare dell’utero materno, si presta ad essere vissuta, inconsciamente, come la realizzazione tecnologica di questo sguardo pericolosamente ambiguo… E questo avviene particolarmente se l’ecografista esegue l’esame senza dire quasi niente alla donna limitandosi a prendere delle misure ed a scattare delle fotografie.
Le fotografie, doppio della persona, sono sempre vissute, nell’inconscio contemporaneo, esattamente come nelle culture orali primarie (Ong, 1982) in cui sono pericolosi oggetti tabù, doppi del soggetto ritratto, su cui uno stregone cattivo (o una strega/ecografista) potrebbe fare una fattura, un incantesimo malvagio.
Presenterò tra poco la vicenda di una nostra paziente (chiamiamola Brunella) nella cui storia c’erano tutti i presupposti per l’emergenza del tema dell’invidia perché né i suoi familiari né quelli del marito (il gruppo primordiale) volevano che la coppia si autonomizzasse individuandosi e separandosi dai gruppi familiari originari e quindi acquisisse potere, autonomizzandosi e facendo un figlio proprio. Come spesso avviene nelle patologie ostetriche, ognuno dei due gruppi familiari di partenza vuole inglobare il genero o la nuora nel proprio scartando tutti gli altri: “rubare” un membro all’altro gruppo, come nei giochi dei bambini in cui il “ladro” ruba un bambino dal gruppo e se lo porta altrove per costruire un altro gruppo.
Nel gioco dei bambini, però, ci si diverte perché poi le parti si invertono e l’ultimo bambino rimasto nel primo gruppo (quello derubato) diventa a sua volta il “ladro” che va a rubare (riprendersi, in realtà) ad uno ad uno, tutti i bambini “rubati”… tranne l’ultimo ovviamente… così il gioco può ricominciare da capo, all’infinito (Nesci, 1991).
Torniamo a Brunella…
La paziente aveva avuto un aborto al terzo mese di gravidanza ed ora, incinta di nuovo, era ricoverata per una incontinenza del collo dell’utero. Rischiava cioè di perdere anche questa volta il bambino, pur stando a riposo. I medici del Reparto avevano praticato un “cerchiaggio” per fare in modo che questo non potesse accadere, ma erano comunque preoccupati e ce l’avevano inviata con la preghiera di inserirla nel nostro protocollo di ricerca avendo constatato che tutte le pazienti che avevamo seguito in precedenza erano riuscite a portare a termine con successo le loro gravidanze ad alto rischio.
Prima di leggere un frammento della trascrizione della seduta è bene fare un’ulteriore premessa teorica.
Quando una donna ha già vissuto un lutto prenatale o perinatale può andare incontro a quella che noi abbiamo chiamato come una “gravidanza clandestina”. In questi casi, cioè, la paziente potrebbe aver paura di accorgersi di essere incinta nel timore che la catastrofe si ripresenti o per l’invidia/malocchio dei parenti/serpenti che non vogliono che lei divenga madre, o per una inconscia fantasia in cui il bambino morto si è reincarnato nel nuovo bambino e, guardandola negli occhi, possa ucciderla (col Malocchio) per vendetta. In questi casi, la donna cerca di attraversare tutta la gravidanza “clandestinamente” senza farsi vedere e riconoscere come gravida e senza riconoscere di esserlo. Per dirlo con le parole di un’altra nostra paziente (affetta da poliabortività) e che, richiesta di disegnare una donna incinta col suo bambino dentro aveva invece disegnato una donna con un largo vestito ma senza nulla dentro: “Se io potessi non sapere di essere incinta, allora, forse, potrei partorire un bambino!”
Questo pattern comportamentale si ripete ovviamente anche nelle sedute ecografiche (Nesci, 1993), come vedremo adesso in una seduta di Brunella.
- “La sonda scotta!”
Dr. “Scotta?”
- “sì… si è riscaldata”
Dr. “Forse è perché la tengo in mano… ma se vuole posso toglierla… cercavo di visualizzare meglio il viso… No… Non si riesce a vederlo meglio di così…”
- “Ha deciso che non vuole farsi vedere… [l’ecografista sposta la sonda per rassicurare la paziente]
“Ma è sicura che l’ecografia non è pericolosa per il bambino?”
Dr. “Sì, certo! Hanno fatto molta ricerca su questo… A volte qualcuno se ne esce fuori con questi dubbi, ma…”
- “Esattamente! Mi hanno detto qualcosa del genere… che non sarebbe… opportuno… di fare così tante ecografie… possono dare problemi, possono dare problemi al bambino…”
Dr. “No. […] Gli ultrasuoni potrebbero… se uno usasse delle alte frequenze per troppo tempo… ma l’ecografia no… con le frequenze che si usano nell’ecografia ostetrica questo non può accadere…”
- “Sì, naturalmente.”
Dr. “Questi due cerchietti neri sono gli occhi del bambino…”
- “Sì…”
Dr. “… Uno dei medici del Reparto mi ha detto che ha chiesto di poter partecipare qui al corso di preparazione al parto…”
- “Be… [ride nervosamente] siccome la mia prima gravidanza… sa… sarà il mio primo parto… allora è per questo che ho chiesto di poter avere un po’ di preparazione al parto.”
Dr. “Possiamo ancora vedere gli occhietti, ma si tiene la manina davanti al viso… Forse ha sentito calore perché io tenevo un dito sul suo addome [ride] me ne accorgo solo adesso! Dev’essere il tepore del mio dito [ride come alleggerita]
- “Forse… lui non si vuole voltare… non vuole essere disturbato… di sicuro.”
Dr. “Almeno non vuole essere guardato, non vuole essere visto in volto…”
- “Mi sento stanca…”
Dr. “Allora possiamo smettere… Sente dolore?”
- “Un pochino… Non fa davvero male… è solo un senso di disagio…”
L’ecografia come cura delle angosce di morte
La macchina ecografica non ha solo la possibilità di diventare, nel transfert, e cioè nelle proiezioni della donna in gravidanza, la materializzazione del Malocchio, essa può anche, nell’uso Sapiens della nostra specie, diventare uno strumento terapeutico nelle mani dell’ecografista.
Vi racconterò un’altra vignetta clinica che è piaciuta tantissimo a Kathleen anche se non è riuscita ad inserirla nel film.
Mi telefona una Collega ginecologa del Reparto di Patologia Ostetrica, moltissimi anni dopo che la nostra ricerca si era ormai conclusa. Dice che è importante che io faccia le ecografie ad una sua paziente ad altissimo rischio, per età e precedenti anamnestici (poliabortività), perché altrimenti non ce la farà più a fare un figlio. La ricevo senza farla aspettare.
Facciamo l’ecografia, nel mio studio, e quindi in un setting molto accogliente, caldo, rassicurante. Per darvene un’idea vi faccio vedere alcuni minuti di una seduta ecografica che ho avuto con un’altra mia paziente, che ha accettato di buon grado di essere videoregistrata per le mie lezioni di Psicologia della Gravidanza e della Vita Prenatale, avendo portato a termine con me varie gravidanze molto difficili, con pieno successo.
Filmato
In un clima simile a questo, e cioè in un ecosistema/ambiente favorevole, arriva la paziente della Collega della Patologia Ostetrica. Tutto si svolge nel migliore dei modi, le faccio sentire e vedere il battito cardiaco fetale, le do appuntamento per la successiva ecografia… Ma qui succede qualcosa. La paziente si commuove, le vengono le lacrime agli occhi, e mi dice che lei verrà al prossimo appuntamento ma sa già quello che accadrà: non ci sarà più il battito ed io le comunicherò che ha perso anche questa gravidanza, come tutte le altre…
Mi viene un’idea.
Le chiedo dove abita e scopro che non è lontano dal mio studio. Le propongo allora un accordo: dal momento che io faccio studio due volte a settimana, Martedì e Giovedì, lei potrà venire da me, ogni volta che è preoccupata, ed io la riceverò un attimo per farle vedere il bambino con l’ecografia, senza farla pagare. A me non costa niente, le dico – cinque minuti tra una visita e l’altra, e lei invece magari si rassicura e così va tutto meglio.
Non ci crede.
La rassicuro che non sto scherzando affatto. Sono molto contenta di farlo. Una stretta di mano ratifica l’accordo.
Sarà così che ogni Martedì, puntualmente, la paziente verrà da me per un controllo… Poi alla ventunesima settimana, ricevo un’altra sua telefonata:
- “Simonetta [ormai ci davamo del tu] non ti scoccerò più: l’ho sentito muoversi! Non era mai successo prima! Ora non c’è più bisogno dell’ecografia per sapere che sta bene!”
Dr. “sono molto contenta, però ricordati che il patto è sempre valido fino alla fine della gravidanza!”
Il Martedì successivo la paziente telefona di nuovo… e, con voce un po’ incerta, mi dice:
- “Posso passare un attimo? Non lo sento più muoversi da ieri! [sapevamo che era un maschio]”
Dr. “Tranquilla, vieni pure!”
- “Non ho dormito tutta la notte per l’angoscia…”
Dr. “Ti aspetto, e stai tranquilla…”
Per farla breve la paziente verrà tutte le settimane, come per una sorta di supporto psicologico “clandestino” utilizzando lo strumento ecografico in un setting in cui la familiarità (darsi del tu e non pagare) avevano giocato un ruolo essenziale riparando, probabilmente, antiche dolorose esperienze di scarso accudimento…
La formazione psicodinamica dell’ecografista
Concludo proponendo che per migliorare l’andamento delle gravidanze si creino corsi ad hoc per la formazione psicodinamica degli ecografisti. Non solo questi sarebbero utili per evitare molti errori ecografici, come abbiamo intravisto prima (e come potrò forse spiegare ulteriormente nella nostra Tavola Rotonda) ma soprattutto si potrà contribuire a rasserenare il clima della necessaria medicalizzazione della gravidanza, riducendo lo stress sia per la madre che per il bambino. Il bambino in utero è estremamente sensibile allo stato psicofisico della madre (in cui è contenuto) e del gruppo che a sua volta la contiene in un utero metaforico.
Come mio marito, concludo auspicando che si diffonda una cultura della vita prenatale e della consapevolezza che il mondo potrà migliorare solo se tutti cominceremo a proteggere la vita fin dal suo inizio, In Utero.
E vi lascio con un’immagine che è molto cara a mio marito, al punto che ha trovato modo di metterla in tutti i suoi libri “americani”: la riproduzione di un quadro dell’artista Cornelius Fraenkel che si intitola “L’albero della vita” e che descrive lo scenario della nostra vita prenatale e di fatto promuove lo slogan del film di Kathleen Man Gyllenhaal: “Womb ecology is World ecology”.
Bibliografia
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Mahler M.S. On Human Symbiosis and the Vicissitudes of Individuation. International Universities Press, New York, 1968.
Mancuso A.K., Nesci D.A., Poliseno T.A., Averna S., Ancona L., Ferrazzani S., De Carolis S., Caruso A., and Mancuso S. “Envy and the Evil Eye in Obstetrical Ultrasonography” Int. J. Prenatal and Perinatal Psychol. and Med. 5, 1:49-54, March 1993.
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Ong W.J. Orality and Literacy. Methuen, London & New York, 1982.