“Dottoressa non mi abbandoni!” di Giovanna Giarrusso, Domenico Arturo Nesci

“Dottoressa non mi abbandoni!” di Giovanna Giarrusso, Domenico Arturo Nesci

L’epidemia da coronavirus che stiamo vivendo da circa due mesi ha imposto tra le persone di mantenere una distanza fisica, ma questo non vuol dire che ad essa debba far seguito una distanza psichica. Agli effetti emotivi negativi di questa distanza fisica, imposta per la salvaguardia della salute di tutti, si deve assolutamente rimediare con il sostegno delle tecnologie digitali che rendono possibili le cure, anche in assenza della condivisione dello spazio e del contatto fisico.

Il COVID-19 è un evento stressante che ha imposto un cambiamento radicale delle abitudini di tutti nel giro di pochissimi giorni, ma potrebbe essere anche l’evento decisivo per promuovere un salto di qualità nell’adozione di nuovi stili di vita (telelavoro, smart working, ecc.) e delle nuove tecnologie. I vantaggi di questi cambiamenti sono intuibili poiché in un contesto di rapida diffusione del virus è evidente che limitare i contatti con i pazienti riduce drasticamente il rischio di infettare ed essere infettati. Ma non si tratta solo di questo. A prescindere dall’epidemia da COVID-19, queste nuove tecnologie possono avere un ruolo importante nel mantenimento delle terapie a distanza anche quando tutto questo sarà finito, qualora ci fossero difficoltà di spostamenti, impegni lavorativi invadenti e soprattutto problemi di salute, come spesso accade con i pazienti oncologici che sono sottoposti a trattamenti medici che possono ridurre le loro difese immunitarie.

Per il bene dei nostri pazienti dovremmo quindi fare tutti noi operatori “psi” uno sforzo serio per superare le nostre resistenze (consce ed inconsce) al cambiamento!

E-mail, WhatsApp, Skype sono diventati ormai un mezzo pratico e veloce per comunicare. Tramite una videochiamata è possibile ricreare il setting rispettando i punti chiave della teoria e della pratica clinica. Vis-à-vis oppure online, al paziente è dedicato sempre e comunque il tempo che gli spetta. La durata di una seduta è di circa un’ora, e sempre e comunque si garantisce il rispetto della privacy ed il segreto professionale. Si fissa un appuntamento esattamente come avverrebbe in uno spazio fisico (pubblico o privato) dando al paziente un orario preciso, in un giorno preciso, che rispetteremo esattamente come se fosse un appuntamento per un incontro di persona. Cambia il mezzo, ma i principi fondamentali del setting restano gli stessi.

L’esperienza clinica di una di noi (specializzanda tirocinante) nel Servizio di Consultazione Psichiatrica della Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS di Roma, conferma il grande aiuto che la terapia online sta offrendo ai nostri pazienti che stiamo continuando a seguire online, ovviamente sempre con la supervisione dei Docenti della Scuola Internazionale di Psicoterapia nel Setting Istituzionale (SIPSI), ora anche online secondo quanto prescritto dal DPCM 8 marzo 2020.

Non avremmo mai immaginato di trovarci ad affrontare nella nostra vita una pandemia. Nella sua drammaticità, è comunque per noi anche un’esperienza preziosa che ci ha insegnato ad adattarci a qualunque tipo di realtà dando sempre priorità alle esigenze del paziente. I Responsabili del nostro Servizio hanno subito sospeso le visite in ambulatorio (un rischio inutile sia per i curanti che per i pazienti ed i loro familiari). Trattandosi in questo caso, come in tutti i casi seguiti dagli specializzandi SIPSI, di pazienti oncologici e/o dei loro familiari, il rischio è notevole. Pertanto, vista la situazione, è stato proposto ai pazienti di continuare ad essere seguiti online. Se pure con qualche titubanza iniziale, quasi tutti hanno accettato volentieri.

Già questo ci ha fatto riflettere. Molte volte i pazienti hanno meno resistenze e pregiudizi di noi e noi “psi” abbiamo molto da imparare anche da loro.

Una paziente in particolare ha scritto: “La ringrazio tanto. Sapere che in caso di necessità lei potrebbe esserci è un conforto.”

E ancora, un’altra paziente: “Dottoressa non mi abbandoni!”

Messaggi importanti che testimoniano il bisogno del paziente di essere contenuto in uno spazio che non è essenzialmente fisico ma psichico: di comprensione, di ascolto, di accoglienza, di costanza dell’oggetto. In una condizione di crisi, come questa pandemia, questi punti fondamentali della pratica psicoanalitica sono essenziali per aiutare i pazienti. Non possiamo abbandonarli, e la terapia online è il nostro, e il loro, più grande aiuto.

Seguiamo da circa un anno una paziente, che ha accettato con grande entusiasmo la terapia online. Venire al Policlinico Gemelli era complicato e faticoso per lei, doveva prendere diversi mezzi pubblici, venire da sola, organizzarsi con il lavoro, e la psicoterapia era gradualmente diventata un peso. Dopo 6 mesi di colloqui in un setting vis-à-vis, iniziamo, a causa dell’epidemia, la psicoterapia online. Il cambiamento ha avuto risvolti positivi fin dalla prima seduta. Tendendo sempre costanti le regole del setting, pur essendo sia la specializzanda che la paziente alla loro prima esperienza online, il clima dell’incontro era del tutto diverso.

Già dai primi minuti la specializzanda nota che la paziente è molto rilassata perché, come si suol dire “si sentiva a casa sua”. Infatti era a casa sua. Era vestita comoda, fumava una sigaretta e accarezzava il cane sul terrazzo. C’era il sole ed era un’ora di primo pomeriggio. Stare fuori, nel terrazzo di casa sua, le ha fatto venire in mente dei ricordi sulla sua famiglia e su alcuni parenti che vivono lontano. Ha raccontato la loro storia e soprattutto il fatto che erano tutti morti, tragicamente, a causa di malattie oncologiche. Nei 6 mesi in cui era stata seguita in ambulatorio non aveva mai parlato dei lutti nella sua famiglia, ma quel giorno, durante la prima seduta online, si è liberata di tutti questi macigni. Su questo abbiamo riflettuto molto. Probabilmente stando a casa sua si è sentita libera di “lavare i panni sporchi” che, notoriamente, “si lavano in famiglia”. È difficile aprirsi con un “estraneo” (l’operatore “psi”) in un ambiente (lo studio o l’ambulatorio di un ospedale) che non si conosce, che non ci appartiene, e che, peggio, può evocare esperienze di malattia e di morte.

Stare a casa ha permesso a questa paziente di parlare delle malattie oncologiche che avevano colpito i membri della sua famiglia, ed in particolare della malattia e della morte della madre. Lei stessa ha riconosciuto, a fine seduta, di essersi “liberata di tutto questo” (confermando così esplicitamente il vissuto controtransferale della specializzanda). È stato un “fatto” (appartenente alla realtà psichica, ovviamente) chiaramente legato ad un cambiamento del setting, dunque ad un evento della cura. Potremmo allora pensare che i pazienti potrebbero avere paura, a volte, di spaventarci con le loro storie, perché pensano siano assurde, prive di senso, non importanti, o perché pensano che gli specializzandi siano troppo giovani ed inesperti. La psicoterapia online crea uno spazio virtuale in cui queste dinamiche sono attenuate proprio perché non c’è il contatto diretto, si dialoga con un’immagine visibile in uno schermo.

Citiamo un breve passo dagli appunti della specializzanda: “Stessa paziente, la vedo di nuovo online la settimana successiva, stesso giorno, stesso orario, stesso setting. La paziente mi riporta una serie di sogni. Non mi aveva mai portato un sogno in seduta al Gemelli. Mi racconta due incubi che fa spesso. Uno riguarda la sua infanzia e uno la sua vita adulta. È una coincidenza che me li abbia detti proprio ora che la seguo online? Non credo. Si era liberata dei lutti, della sofferenza, durante la seduta precedente. Questo ha aperto un canale, uno spiraglio, consentendo ai suoi sogni di affiorare e di essere non solo riportati alla coscienza ma anche comunicati.”

Nella nostra esperienza dunque la psicoterapia online non solo funziona, ma in pazienti con lutti oncologici sembra facilitarne l’elaborazione.

Torniamo al titolo di questa breve comunicazione: “Dottoressa non mi abbandoni!” E leggiamo un altro frammento dagli appunti della specializzanda: “Un’altra paziente me lo ha detto l’ultima volta che ci siamo viste di persona al Gemelli, il giorno che le ho dovuto comunicare che, per evitare il rischio del contagio, non ci saremmo viste in ambulatorio fino a nuove disposizioni. Qui la storia è opposta a quella precedente. Avevo seguito la paziente da 2 mesi e in solo tre sedute svoltesi al Gemelli si era aperta molto. Mi aveva raccontato la cornice in cui si è svolta la sua vita, in un ordine cronologico molto preciso ed esponendo le sue preoccupazioni principali. Poi l’epidemia. Interrompere la terapia sarebbe stato un danno. L’urgenza di raccontarmi le sue paure segnalava infatti il bisogno fortissimo di ricevere un aiuto immediato e di sentirsi contenuta. Non potevo non vederla più per chissà quanto.”

Ad una apertura da parte del paziente deve seguire un contenimento delle sue emozioni e delle sue paure da parte di chi ha assunto il ruolo del curante, non un abbandono. E anche qui, di nuovo, l’aiuto della terapia online è stato determinante. Questa modalità ha permesso alla paziente di continuare il suo processo di elaborazione, di riprendere i suoi ricordi, di raccordarli, di riesaminarli, di tentare di interpretarli, di dare un senso alla sua storia sentendosi accompagnata non da una sola figura di riferimento ma da tutto un team, da un’istituzione che ha reso possibile questo “passaggio”, che ha fatto suo il “setting transizionale” teorizzato dalla nostra Scuola.

Tutti i nostri pazienti sanno di non essere “della Dr.ssa Giarrusso” di non essere “del Dr. Nesci” ma di essere i pazienti di un “setting istituzionale” che si fa garante della loro cura: dai Responsabili del Servizio che lo rendono possibile e sostenibile, dallo psichiatra che li segue e ne controlla l’eventuale terapia psicofarmacologica, ai Tutors, ai Docenti/Supervisori della Scuola, alla Fondazione Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” IRCCS di Roma.

E così ogni settimana continua il nostro percorso con loro e il loro percorso con noi, in videoconferenza, in videochiamata, o per telefono, per dare continuità ad un rapporto che anche se ora ci vede fisicamente distanti, ci consente invece di restare psicologicamente vicini.

 

Giovanna Giarrusso, Domenico Arturo Nesci

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