IL SILENZIO DELLE PAROLE di Angelo Urbano

IL SILENZIO DELLE PAROLE di Angelo Urbano

     Le parole che mi appresto a scrivere hanno tardato ad arrivare e, sono sicuro, altre mancano all’appello. Attendendole invano, probabilmente non avrò mai il piacere di condividerle. Che la scrittura sia un processo creativo complesso è noto a tutti coloro che si cimentano con “carta e penna”. Se poco ispirati, si corre il rischio di mettere in fila pensieri banali, scontati o retorici. Meglio tacere, restare in silenzio, mettersi in ascolto delle altrui parole. Tutte corrette, tutte giustificate da un sentire comune di dolore ed angoscia conseguenti alla diffusione capillare del virus.

     Parole che hanno dato voce al timore del contagio, alla paura della malattia, al terrore della morte. Parole che hanno accomunato milioni di persone segregate in casa. Parole che hanno allacciato, con un nodo ideale, l’affetto di parenti ed amici increduli di non poter più salutare, abbracciare, amare. Parole che hanno risuonato fragorose da balconi e finestre, inondando strade e vicoli di intere città.

    Quelle stesse parole, però, sembrano aver perso il duello con un avversario invisibile, sordo al grido di dolore dell’umanità intera. Un nemico subdolo, sconosciuto, straniero. Un parassita della vita giunto nel silenzio. Ecco, il silenzio. Il tutto contro il nulla. Un silenzio che ha avvolto lentamente ogni pensiero. Le nostre domande hanno trovato silenzio in risposte insoddisfacenti. Le nostre comprensioni hanno trovato silenzio in ogni pensiero logico. Le nostre certezze si sono infrante in silenziose delusioni.

    In questo periodo di isolamento sociale, appunto, di parole se ne son dette e sentite tante. Abbiamo rispolverato gli antichi racconti di chi, prima di noi, ha vissuto e narrato situazioni simili. Il primo pensiero di ispirazione letteraria è stato rivolto al Decameron di Giovanni Boccaccio. Il componimento simbolo dei periodi di quarantena che l’Uomo ha dovuto affrontare attraverso i secoli. Chi meglio di lui ha saputo intrattenere l’angoscia irrequieta dell’isolamento con novelle lievi ma, allo stesso tempo, profonde. Amore e morte cantati con una leggerezza così intensa da provocare intime riflessioni sulla natura dell’animo umano e sui sentimenti che da sempre lo coinvolgono.

    Abbiamo, altresì, scoperto alcune verità scientifiche nelle tesi ecologiste del ricercatore David Quammen che, nel suo saggio Spillover, ha indagato le cause della diffusione dei virus riconducendole alle nefaste azioni umane di disintegrazione di interi ecosistemi. Deforestazioni, inquinamento, sterminio di specie animali hanno innescato un detonatore di disfacimento globale. L’Uomo, spingendosi nell’invasione e conquista di territori preziosi per l’equilibrio del pianeta, ha rivendicato con arroganza il suo diritto al possesso della Terra.

     Ma la buona educazione prescrive che non si urli in casa d’altri. Il rischio è che il padrone di casa si spazientisca e, con una buona motivazione, ci metta alla porta. E così è stato. La natura ha risposto alle nostre grida saccenti rinchiudendoci in casa. Ci ha costretto a restare in silenzio. Ha messo a tacere le nostre presunte rivendicazioni di supremazia rendendo evidente la nostra ignoranza e la nostra impreparazione nel gestire le cose del mondo. Ci ha letteralmente spogliati delle parole di vanità che l’Uomo da tempo si è cucito addosso.

     Eppure, di tutte queste parole, spesso non si è udito il suono. Al contrario, si è percepito un assordante silenzio del quale è stato difficile cogliere il senso o attribuirne un significato. La sensazione di vuoto percepita è stato così intensa che, al pari di una relazione terapeutica tra Uomo e Natura e del preziosissimo processo di controtransfert che ne consegue, sono scaturiti interrogativi, rappresentazioni interne ed elaborazioni molto utili ad una riflessione seria sulle future dinamiche umane. Ho colto, in tal modo, un valore aggiunto al silenzio che mi ha invaso, un’umana pietas sostenuta dalla vista di una delle rappresentazioni più crudeli di questa pandemia, la silenziosa morte. Silenziosa per definizione, certo. Mai avvezza ad avvisare del suo arrivo, mai lieta di farsi annunciare, riluttante da sempre agli squilli di tromba. Con un sadico scherzo del destino la natura umana, sociale e fragorosa, è stata privata di tali peculiarità. Il prezzo da pagare in termini emotivi è stato alto. L’Uomo, solito essere circondato dagli affetti più cari durante la sua ultima ora, è morto in silenzio. È morto nel silenzio. Nessuno al suo capezzale, nessuna mano tremante a stendere un sudario sul suo volto. Un deserto di lacrime, pienezza della solitudine. Non meno spietato si è rivelato il suo accompagnamento alla dimora eterna, un percorso lento e muto di carri militari carichi di vittime di una insolita guerra.

     In quella silenziosa processione funebre è sembrato di assistere, quasi anacronisticamente, ad un’altra celebre scena della letteratura italiana, la madre di Cecilia narrata da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi. Una giovane madre il cui volto esprime il più triste dei dolori, la perdita di un figlio. Un incedere lento verso il carro dei monatti per deporre il più prezioso dei suoi beni. Una deposizione delicata, amorevole. Un ultimo gesto di cura materna donato tra l’anonimato dei morti. Un momento, purtroppo, negato a molte famiglie colpite da questo virus. Sembra proprio di averli sentiti quei parenti mentre pronunciavano, a medici ed infermieri, le medesime raccomandazioni della madre di Cecilia: «Promettetemi di non levarle un filo d’intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo e di metterla sotto terra così».

 

Angelo Urbano

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