Una seduta a tre

Dr.ssa Elisabetta Corona
Arrivo in ospedale per le consultazioni psicologiche, il reparto è in pieno ritmo lavorativo, la caposala mi dice di procedere con le consulenze. Mi suggerisce di vedere due giovani (tra i 25 ed i 30 anni) con tumore al testicolo, operati da qualche mese, attualmente ricoverati per fare la chemioterapia. Non ci sono spazi liberi, al momento, per cui mi chiede di vederli insieme, nella loro stessa stanza…
Entro, mi presento e chiedo loro se ci sono problemi a fare il colloquio uno dopo l’altro, nella stessa stanza… mi rispondono che per loro va bene. I colloqui si svolgono mentre sono sdraiati nei loro letti, attaccati alle flebo, in chemioterapia.
Inizio il colloquio con il primo paziente mentre l’altro si mette le cuffiette per non sentirci, “così da sembrare uno spazio riservato” – ci dice. Il paziente, che chiamerò Enea, mi racconta d’essere una persona molto attiva. Viaggiava spesso e stava “sempre a mille”. Viveva da solo, aveva preso in affitto un appartamento ed era andato via dalla casa dei genitori. Anche adesso continua a stare da solo. Racconta che aveva una fidanzata che ha lasciato… “ormai non sentivo più niente per lei, non l’amavo più…” In questo periodo non ha alcuna relazione, “in questo stato non voglio proprio avere nessuna fidanzata… ho paura d’essere compatito e non voglio essere di peso per nessuna”. Enea non aveva mai sentito parlare di questo tumore ma ha scoperto che su internet ci sono dei siti dove ci si può confrontare con altre persone che stanno vivendo la stessa sua vicenda.
L’altro paziente è poco più giovane di Enea… lo chiamerò Cristiano. Cristiano mi racconta dei suoi viaggi che organizza con pochi amici fidati, l’ultimo viaggio è stato in India e si è divertito molto. Vive in un appartamento con altri ragazzi, lavora. Non è fidanzato e al momento non vuole avere relazioni sentimentali. Parla della malattia. Mi dice che la sta affrontando abbastanza bene, ma aggiunge che questo tipo di tumore per gli uomini è come se fosse un tabù: non se ne sente parlare e non se ne vuole parlare, mentre, si sente spesso parlare di quelli femminili.
Ci interroghiamo su come mai gli uomini non ne parlino volentieri. Cristiano sostiene l’ipotesi che l’organo sessuale, per l’uomo, è “una questione sacra…” Mi dice: “io considero il mio organo sessuale come una cosa sacra… forse noi uomini lo consideriamo come un tempio, perciò, quando c’è di mezzo la malattia, non se parla facilmente”.
Enea non si è messo le cuffiette e, in maniera discreta, ogni tanto sorride, annuendo, nel sentire i discorsi di Cristiano.
In supervisione, col Dr. Nesci, dopo il giro visite, si riparlerà della “questione sacra”… Il Dr. Nesci mi fa notare che i due nomi che avevo “inventato” erano proprio frutto delle cose dette dai pazienti, e quindi del mio controtransfert: Enea e Cristiano rimandano a mondi religiosi, quello della pietas virgiliana e quello del cristianesimo…
Nello spazio associativo della supervisione ci poniamo tanti interrogativi: siamo sicuri che Enea avesse davvero vissuto la fine di un amore? E se invece questo vissuto non fosse altro che una difesa? Se lo rileggessimo come un modo, del tutto inconsapevole, di rompere il rapporto con la fidanzata per non rischiare di esserle di peso? Nella nostra esperienza clinica non è infrequente che i malati oncologici ci confidino di aver avuto una sorta di perturbante consapevolezza inconscia della loro malattia, come un presentimento che si manifesta prima che la diagnosi venga portata alla luce, ma che, sicuramente, è successivo al reale insorgere del cancro.
In questa prospettiva il discorso di Cristiano completa così ed illumina quello di Enea… Per un uomo una patologia che colpisce il testicolo e mette a rischio la capacità di generare può essere “pesante” nei confronti di una fidanzata, perché se non si raccoglie subito il liquido seminale, prima di iniziare le cure, si rende biologicamente sterile il rapporto… Il lavoro della psicoterapia, con questi giovani pazienti, potrebbe allora orientarsi verso l’acquisizione di altri modi, non necessariamente biologici, di essere uomini creativi.
In supervisione affiora poi un’altra questione interessante, quella del setting: che cosa comporta il fatto di svolgere un primo colloquio con due pazienti che presentano la stessa patologia oncologica e che condividono la stessa stanza? Come interpretare il suggerimento della caposala? Frutto di pura intuizione o di profonda esperienza clinica?
Emergono associazioni con altre situazioni di “gruppo” in cui pazienti (ed anche familiari) possono trovarsi insieme, in ospedale, ad esempio nelle sale d’attesa di un Ambulatorio o di un Day Hospital, e di come le interazioni tra queste persone possano avere importanti valenze psicologiche. Come sempre, il Dr. Nesci mi aiuta a “leggere” il lato positivo della situazione complessa in cui mi sono trovata a lavorare, apparentemente solo per necessità (il fatto che i due pazienti condividevano la stessa stanza e che non c’erano al momento altri spazi disponibili).
A mio avviso è importante che lo psicologo non modifichi il “setting” per il suo “soddisfacimento professionale”, non opponga resistenza a quello che il setting istituzionale spontaneamente propone, ma ne prenda piuttosto la forma adattandosi. Quel “setting” può divenire così lo “spazio potenziale” (Winnicott 1967) in cui una vicenda di cambiamento possa aver luogo.
Condividere può contribuire a sdrammatizzare, a fornire supporto, o semplicemente a vedere le cosa da un’altra prospettiva, come è stato nella mia breve esperienza clinica del primo colloquio psicologico con Enea e Cristiano, entrambi contenti dell’opportunità dell’incontro, apparentemente “informale”, con una psicoterapeuta psiconcologa. Se avessi rimandato i due colloqui, dando priorità alla costruzione di un setting psicologico classico, in cui il paziente è solo con la terapista, avrei enfatizzato il fatto di mettere i due giovani nel ruolo “formale” di pazienti “psi” probabilmente suscitando resistenze, e risvegliando i classici pregiudizi negativi del fantasma della follia, che sempre possono prendere forma nello scenario dell’incontro con un operatore sanitario che si occupa di stati della mente…